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Chi usa la stampa 3D e come la usa: i 5 errori più diffusi.

Ragazzini brufolosi e nerds? Scienziati e cervelloni in basi quasi spaziali? Casalinghe 4.0, l’ultima frontiera del découpage? Artigiani digitali? Architetti? Industria 4.0? Chi è l’utente medio della stampa 3D?

Secondo gli esperti come Mike Vasquez di 3Degrees e Rachael Gordon della Idtechex, solo il 13%  degli utilizzatori della stampa 3D sono hobbisty, il 14% del mercato è coperto dall’industria ( in realtà pochi marchi molto diversi tra loro che stanno facendo grandi investimenti), e il 73% è coperto da professionisti.

Un dato: Nei prossimi 3 anni avremo più del 10% dei prodotti su scala mondiale che saranno fabbricati con la stampa 3D.

Molte aziende o professionisti che abbiamo contattato sono interessati a queste nuove tecnologie, si entusiasmano di fronte alle potenzialità e alle libertà che permettono.

Cosa sappiamo: sappiamo che il 72% delle aziende che usa già questa tecnologia non sa come massimizzare al meglio il suo investimento e ne riesce a sfruttare solo per un 60% delle sue reali capacità. Perché?

Perché manca di conoscenza: conoscenza sulle tecnologie e sui vantaggi che queste offrono. Si parla di stampa 3D ma dietro questo nome c’è un mondo di tecnologie diverse: le tecnologie additive. Cerchiamo di vedere quali sono i 5 errori più diffusi e domandiamoci come non cadere in queste trappole.

  1. Il primo errore più diffuso è quello di comprare e utilizzare una tecnologia o un tipo di stampante 3D non adatta a quello che si vorrebbe fare. Ad esempio, se io sono il responsabile dell’ufficio marketing e desidero fare dei prototipi estetici del mio prodotto per farlo vedere ai clienti non posso mettermi in casa una macchina a FDM a bassa risoluzione. Certo potrò avere i filamenti colorati e anche al gusto birra ma i miei oggetti saranno monocolore (o bi-colore se ho un doppio estrusore) e con una definizione superficiale bassa e non dettagliati. Ma questa non è la sola stampa 3D esistente anche se è quella che utilizzano l’88% degli utilizzatori. Esistono almeno 7 grandi famiglie di stampa 3D e alcune di queste possono restituire un’ottima definizione superficiale come la SLA o le tecnologie a getto di inchiostro. Così quando

la

Posidonia (azienda leader nella produzione delle ancore e nel testaggio catene) ci ha chiesto di creare delle riproduzioni in scala delle sue ancore, la nostra scelta è andata sulla resina trasparente stampata in SLA (con due snodi mobili funzionanti). Le domande che quindi bisogna farsi prima di comprare una stampante 3D sono: “Qual’è il risultato che voglio ottenere? A cosa mi serve?”

  1. Utilizzare dei materiali non idonei. L’altro giorno mi hanno chiamato due clienti che desideravano due pezzi di ricambio per macchine fuori produzione. Il primo pezzo era la ruota dentata che muove il sedile di una vecchia Ferrari. Il secondo pezzo era la bocchetta dell’aria di una vecchia Fiat. Il prezzo di ri-progettazione e di stampa erano uguali quindi quello con la Ferrari ha accettato il preventivo senza battere ciglio e quello della Fiat ci deve pensare… comunque il fatto è che questi due pezzi hanno due caratteristiche che bisogna tenere presente: devono avere una buona resistenza meccanica e devono resistere al calore (pensiamo alla temperatura che raggiunge una macchina posteggiata sotto il sole). Quindi non potevamo stamparle alla stessa maniera delle ancore della Posidonia, dovevamo utilizzare un ABS stampato in FDM. I

pezzi erano pochi, 4 per la Ferrari e 2 per la Fiat, quindi abbiamo dovuto escludere la Sinterizzazione laser a letto di polvere che invece stiamo utilizzando per la produzione di griglie e cerniere per un acquario per rane velenose del Madagargar. La domanda che mi devo fare è : “Quali sono i requisiti che devono avere i miei pezzi?”

  1. Chi progetta e/o chi realizza non è informato del cambio di tecnologia. E quindi ci si trova a voler stampare in 3D cose che sono state progettate per la fusione o le macchine a controllo numerico. E questo non va bene, tutto deve essere riprogettato per il nuovo sistema produttivo. Come per esempio il prototipo di endoscopio che abbiamo progettato per Endomed: la stampa 3D in questo caso è stata vincente sia per il ristretto numero di parti (prototipo, piccola serie di 15 pezzi, media serie da 800 pezzi) sia per i canali di insuflazione della CO2 che sono resi possibili dalla nuova tecnologia (difficilmente stampabili in maniera tradizionale). Persino le ancore di Posidonia le abbiamo dovute riprogettare per renderle stampabili. L’azienda ci aveva fornito i disegni di produzione delle parti, noi abbiamo creato un unico modello e aumentato le tolleranze in modo da stampare un unico assieme con parti mobili. (. In questo caso le domande sono: “Quali sono i requisti chiesti dal cliente? é più facile riprogettarlo o assemblarlo? Quanto risparmio di magazzino? O di trasporto?”

  2. Non viene concesso tempo, risorse e spazio alla nuova tecnologia. Uno dei luoghi comuni più frequenti è che la stampante 3D viene presa e messa su una scrivania (lo visto fare da degli architetti: “Ce l’hanno regalata…”) e poi lì abbandonata, si prova ad accendere un paio di volte in qualche momento morto della giornata ma poi il tram tram del lavoro “vero” fa finire la stampante 3d, dopo qualche settimana, sopra qualche armadio a prendere polvere. In poche parole si vorrebbe utilizzare come una stampante 2D ma il suo funzionamento non è così semplice (nonostante quello che dicono le case produttrici di stampanti 3D).  Le domande quindi sono: “Quanto voglio investire o quanto mi conviene esternalizzare? Quanto tempo risparmio facendolo in 3D? Quanto mi costa formare e impegnare una o più persone a fare questo? ”

  3. Non viene contemplata la post lavorazione. E questo crea degli oggetti non finiti, grezzi. Tutte le stampanti utilizzano materiali (dalle resine alle polveri di alluminio, passando per le plastiche) che sporcano, puzzano, abbisognano di carta-vetro o levigatrici, vernici o altro e questo è molto importante se si vogliono avere degli oggetti finiti. Per fare questo bisogna impegnare personale, denaro, spazi e competenze. Le domande quindi sono: “Riesco fin da ora a quantificare e qualificare il lavoro che devo svolgere in stampa 3D? E se sì, riesco a formare e coinvolgere diversi gruppi di lavoro?”

Questi sono i 5 errori  più diffusi e che scoraggiano maggiormente gli utilizzatori della stampa 3D.

Astrati nasce proprio con questo scopo: aiutare le aziende ad approcciarsi in maniera semplice e facile alla stampa 3D dandogli supporto per la progettazione e la produzione nella tecnologia additiva più idonea.

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